Rapporto Istat 2018: Italia tra luci e forti ombre

17.05.2018

Ricominciare dal lavoro

E'un peccato che taluni segretari/leader di partito/movimento spesso rifuggano dalla lettura completa di pregevoli documenti, come i Rapporti Annuali dell'Istat, soffermandosi invece su valori assoluti critici riproiettandoli sul grande schermo per attaccare altrettanti segretari/leader di altrettanti partiti che pur leggendo quei rapporti ne trattino in gran parte solo e soltanto gli elementi positivi, senza richiamare alla churchilliana posizione del "se abbiamo fatto finora abbastanza, molto di più è quello che ci resta da fare".

Non è una difesa del duo Renzi-Gentiloni in staffetta di governo tra il 2016 e il 2018 (e il Rapporto Istat fotografa il 2017 che è l'anno cerniera con il quale risultati ottenuti si disperdono o si consolidano). E se non è una difesa è una lettura intelligente (non ideologico-strumentale) dei numeri. Questi ultimi ci dicono che le bacchette magiche non esistono e che la fantasia al potere senza i numeri stessi, non solo evapora come la rugiada del mattino, ma confonde, quando non inganna.

Non sono parole a caso, bensì parole sostenute da numeri validati che superata la barzelletta avicola di Trilussa sono tratti da fonti che sono archivi, da archivi che sono miniere, miniere che danno la ricchezza della conoscenza e che l'Istat nella sua variegata struttura e composizione, interrelata in Eurostat, offre al Paese non per compiacersi o per piangersi addosso, ma per agire. E l'Italia deve agire. Se ha ripreso a camminare, deve accelerare. Lo stimolo è non solo coscienziale, ma visivo. Nei grafici europei, se riprendiamo, siamo ancora lenti, appesantiti da una zavorra di una classe dirigente che non sa dare continuità ai movimenti di svolta e imprimere la giusta spinta. Croazia e Grecia sono compagni di passeggio per talune statistiche sul lavoro, quest'araba fenice che sembra non esserci più.. e invece esiste. Ed è su questa esistenza e sulla sua estensione e potenziamento che si gioca la partita dei prossimi anni, come sostenuto più volte tempo addietro.

Questo è il messaggio che i numeri consegnano e riguardo ai quali la mia attenzione non può che soffermarsi sulle 48 pagine del Capitolo 2 del Rapporto. Mi perdonino i lettori se sintetizzo il quadro con gli stessi passaggi Istat, riportando i quali mi auguro che Alleva non mi chieda diritti di copyright! Se è vero che il passaggio dalla crisi dei marosi post-2008 alla terraferma appare compiuto, non è completato invece il guado della foce dei delta di fiumi che dalla terraferma sfociano in mare. Se lavoro meritorio è stato compiuto, la vera messa in sicurezza del Paese passa dal superamento del guado prima che piogge torrenziali si rovescino facendo tracimare quei fiumi e ributtando tutto in mare. Analogia, questa, che richiama quanto scrissi su queste pagine il 17 marzo scorso.

Ebbene la crescita del nostro Paese si consolida nel 2017: il Pil è cresciuto dell'1,5% (+0,9% nel 2016). Nel biennio 2015-2016 l'economia è tornata a crescere nel Mezzogiorno, dopo sette anni di contrazione: il Pil in volume è aumentato del 2,4%, un valore superiore a quello medio nazionale (+1,9%). L'indebitamento netto è sceso sotto i 40 miliardi di euro e la sua incidenza sul Pil è diminuita dal 2,5 al 2,3%. In diminuzione anche il rapporto debito/Pil, da 132,0 a 131,8%, e la pressione fiscale, da 42,7 a 42,5%. È proseguita la risalita dei consumi delle famiglie. Il volume della spesa delle famiglie residenti è aumentato dell'1,4%, un ritmo analogo a quello del 2016.

Un segnale importante proviene dalla ripresa del monte-ore lavorate che nel 2017 ha raggiunto quota 10,8 miliardi di ore, ormai vicina al recupero dei livelli pre-crisi (circa 11,5 miliardi di ore nel 2007). Il costo del lavoro è rimasto contenuto e la produttività ha ripreso a crescere, anche se ancora di poco.

La ripresa del mercato del lavoro, iniziata a partire dalla seconda metà del 2014, è andata consolidandosi nel 2017. Nella media dell'anno gli occupati stimati dalla contabilità nazionale sono circa 284 mila in più rispetto al 2016, a fronte dei circa 324 mila in più registrati l'anno precedente. Eppure se miglioriamo siamo attestati (58%), per non dire inchiodati, sotto la soglia del 60%. Nel 2017 gli occupati superano i 23 milioni, ma il tasso di occupazione, salito al 58%, resta inferiore di oltre 9 punti alla media europea (67,6%). I nostri disoccupati sono 2,9 milioni e il loro tasso scende dall'11,7% del 2016, all'11,2%, contro il 7,6% europeo (18,8 mln - 2,2 mln sul 2016). Nel 2017 il numero dei disoccupati diminuisce del 3,5% (-105 mila), rafforzando la contrazione già segnalata nel 2016. Questa tendenza si rispecchia nella contestuale diminuzione del tasso di disoccupazione, che passa dall'11,7% del 2016 all'11,2%.

Tra le notazioni interessanti. La prima è sulla composizione della forza lavoro: i dipendenti a termine in Europa crescono, come in Italia, ma resta fermo il loro peso sul totale occupati. La seconda è che in Italia solo nel Mezzogiorno c'è un saldo occupazionale negativo (-4,8%). Nell'intero Paese sono le donne a trascinare la crescita dell'occupazione (+1,6% contro il +0,9%), ma il loro peso sul totale occupati (48,9%) è 13 punti inferiore alla media europea (62,4%).

Si conferma il ruolo dell'istruzione quale fattore protettivo: nel 2017 il tasso di occupazione cresce per tutti i livelli di istruzione, ma l'incremento più elevato è per i laureati, che hanno quasi recuperato il livello del 2008 (-0,3 punti). Nel 2017 risultano occupati quasi otto laureati su dieci, due diplomati su tre e solo quattro persone su dieci con la licenza media. La ricerca di personale da assumere da parte delle imprese cresce in tutti i settori. Nel 2017 il tasso di posti vacanti registra un incremento di 0,2 punti percentuali, più marcato nei servizi.

Per il quarto anno consecutivo si riducono gli inattivi tra i 15 e i 64 anni, che nel 2017 sono sotto i 13,4 milioni. Il calo è stato meno intenso rispetto al 2016 ma comunque rilevante (-242 mila unità, -1,8%); rispetto al 2008 se ne contano quasi un milione in meno. I giovani tra i 15 e i 29 anni non occupati e non in formazione (Neet) scendono sotto i 2,2 milioni. Dopo il forte calo registrato nel 2016, la diminuzione è più debole nel 2017 (-25 mila, -1,1%), alimentata in gran parte dalle donne. Il segmento più numeroso tra i Neet è comunque costituito da persone in cerca di occupazione (898 mila persone, il 41,0% del totale).

L'anno scorso, il benessere degli italiani misurato nel Def migliora in cinque dei dodici indicatori considerati e arretra o rimane stabile nei rimanenti sette. In positivo, presentano tendenze concordi da un triennio o più il miglioramento nella partecipazione al mercato del lavoro e in negativo, l'aumento della diseguaglianza dei redditi e della povertà assoluta. Quest'ultima, secondo le stime preliminari, nel 2017 interessa il 6,9% delle famiglie e l'8,3% dei residenti (dal 6,3% e 7,9% nel 2016, rispettivamente). In termini assoluti, si tratta di quasi 1,8 milioni di famiglie e 5 milioni di individui.

E quanto finora illustrato riguarda il lavoro che nel novero delle categorie d'intervento assume valore prioritario di avanzamento e insieme di recupero se si vuole (e si deve) dar corso alla riduzione della povertà e della diseguaglianza, principalmente di genere anche quando legata al divario retributivo tra uomini e donne. Il lusso dell'attesa e quello dell'insipienza che genera la confusione di chi di numeri conosce solo quelli delle schede elettorali non è permesso.

Popolari & Progressisti 
Tutti i diritti riservati 2018
Creato con Webnode Cookies
Crea il tuo sito web gratis! Questo sito è stato creato con Webnode. Crea il tuo sito gratuito oggi stesso! Inizia